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Invalidi falsi e dati veri - Nessuno è perfetto:Malattie e Disturbi Mentali

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Invalidi falsi e dati veri

CAMPAGNE D'INFORMAZIONE > DAL GOVERNO: LEGGI A FAVORE DEI CITTADINI E DEI DISABILI



Invalidi falsi e dati veri
Complice la grave crisi economica ritornano proposte di nuovi controlli sugli
invalidi civili e di riduzione delle misure a sostegno delle persone con più grave disabilità



MILANO - Si riparla nuovamente di false invalidità ma, vista la situazione di grave incertezza economica, si azzardano anche nuove ipotesi restrittive nell’ambito delle provvidenze assistenziale riservate alle persone con grave disabilità. Alcune indiscrezioni, forse lasciate trapelare ad arte per sondare le reazioni, lascerebbero supporre che il Governo intenda proporre un piano di controllo straordinario sulle invalidità civili e l’introduzione di un limite reddituale anche per le indennità di accompagnamento. Un limite reddituale, lo ricordiamo, è già previsto per pensioni (invalidi al 100% = 15.154,24 euro lordi annui) e per gli assegni (invalidi fra il 74 e il 99% = 4.408,95 euro lordi annui). Nelle riflessioni attorno a queste due ipotesi vengono spesso formulati come innegabili alcuni elementi che tuttavia non trovano riscontro ad un’analisi più approfondita dei fatti e dei documenti pubblici. Vediamoli assieme.
LE FALSE INVALIDITÀ - «Ci sono decine di migliaia di false, finte o non dovute pensioni di questo tipo: è necessario dare una stretta, con molta attenzione ai criteri di assegnazione e con controlli ben precisi.» In effetti l’ultima ondata di controlli effettuata dall’Inps (200 mila nel 2009) su mandato del Legislatore, ha portato alla revoca o al ridimensionamento di 18.840 prestazioni assistenziali. Nel mucchio ci sono invalidità di percentuale inferiore a quanto precedentemente rilevato, invalidità insufficienti per raggiungere il diritto all’erogazione di provvidenze economiche, invalidità sufficienti ad ottenere l’assegno mensile ma non la pensione o l’indennità di accompagnamento e, infine, invalidità inesistenti. Il numero di prestazioni su cui si è inciso rappresenta il 17% dei controlli effettuati. Tutte quelle percentuali di invalidità erano state riconosciute da Commissioni pubbliche di accertamento (Aziende Usl) composte da più medici ed erano state controllate tutte da un’altra Commissione di verifica (fino al 2004 del Ministero del Tesoro, successivamente da una Commissione dell’Inps) anch’essa composta da più medici. In buona parte dei casi, poi, erano state oggetto, negli anni, di revisione. Il doppio controllo, prima dell’emissione del verbale, è una modalità prevista per legge e consolidata da anni: prima c’è la visita della Commissione Usl poi, sugli atti, c’è il controllo della Commissione di verifica. Se questa ha dei dubbi sospende il verbale e convoca a visita il Cittadino. Ogni anno, poi, ci sono comunque controlli a campione. Oltre a questi, nell’ultimo decennio, sono stati predisposti piani straordinari di verifica, come appunto quello del 2009. Tornando al dato delle 18.840 prestazioni assistenziali per invalidità revocate o ridimensionate, va anche detto che questo non è affatto un dato definitivo. I Cittadini interessati da quei provvedimenti, infatti, hanno l’opportunità di presentare ricorso, con l’assistenza di un legale, davanti al Giudice. In moltissimi lo faranno, con il supporto dei patronati di assistenza, andandosi ad aggiungere alle altre 400mila cause pendenti in materia di invalidità civile. 400 mila cause, ad un costo medio di 7000 euro, comporta un giro di affari di 2 miliardi e 800 milioni di euro. Vale la pena di imporsi qualche riflessione: vi sono interessi che incidono sulle riforme del sistema? Ma tornando ai ricorsi, nei casi, non infrequenti, che lo Stato soccomba in giudizio, le provvidenze vanno ripristinate (con gli arretrati e i costi di giudizio). Il dato definitivo, quindi, non è disponibile, come non è noto il costo di questa significativa azione di controllo.
LA SPESA - «Gli assegni di invalidità, corrisposti alla bellezza di 2,7 milioni di cittadini (quattro volte di più che in Francia e Germania).» «La spesa è letteralmente esplosa negli ultimi anni, arrivando ad oltre 16 miliardi di euro, un punto di prodotto interno lordo.» Spesso si comparano i dati fra Italia ed Estero solo per gli aspetti più convenienti. Da nessun dato ufficiale o ufficioso emerge che le provvidenze per invalidità civile in Germania o in Francia siano un quarto rispetto a quelle concesse in Italia. Anche sull’apparentemente allarmante dato relativo al Pil sono opportuni alcuni approfondimenti. Va subito detto che è il dato relativo al Pil è in contraddizione con le stesse fonti ufficiali governative.
I DATI UFFICIALI - Ormai da alcuni anni il Ministero dell’economia e delle finanze pubblica una corposa Relazione Generale sulla Situazione Economica del Paese. Nel luglio del 2009 ha pubblicato, in tre volumi per un totale di un migliaio di pagine, la Relazione riferita al 2008. In pochi l’hanno letta. Per questioni che qui ci interessano la Relazione adotta il Sistema delle statistiche integrate della protezione sociale, una modalità di raccolta e selezione dei dati ormai condivisa e consolidata a livello europeo che garantisce la comparazione. Le diverse voci di spesa sono sempre rapportate al Prodotto Interno Lordo – il Pil , cioè il valore complessivo dei beni e servizi prodotti all'interno di un Paese. In termini più semplici, anche se più approssimativi, la ricchezza prodotta da una nazione in un dato periodo. Il raffronto fra le prestazioni di protezione sociale suddivise per funzioni è proposto dalla Tabella 14 (Primo volume, pagine 86-87) della Relazione annuale. Nel 2006 l’Italia ha speso il 25,7% del proprio Pil in queste prestazioni: il 50,8% se n’è andato in pensioni di anzianità e vecchiaia (previdenza), il 26,8% in spese per malattia (sanità), il 9,7% in pensioni di reversibilità, e il 5,9% in prestazioni economiche o in natura per invalidità (assistenza). La spesa per le pensioni, assegni e indennità agli invalidi e le pensioni sociali, rappresentano pertanto solo una parte marginale della spesa di protezione sociale. Scomponendo quel 25,7%, scopriamo che per l’invalidità il nostro Paese spendeva solo l’1,5% del proprio Pil, la stessa percentuale della Repubblica Ceca, e sopra a Malta, Bulgaria, Irlanda, Cipro, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania. Spendono di più dell’Italia, la Svezia (4,5%), la Danimarca (4,2%), l’Olanda (2,3%), il Regno Unito (2,2%), il Portogallo (2,4%), la Polonia (1,7%), la Slovenia (1,9%), l’Ungheria (2,1%), la Francia (1,8%), la Germania (1,7%), il Belgio (1,8%). L’Italia si colloca sotto la media dell’Unione Europea che per la spesa per le invalidità è di 2% del Pil. Questo aspetto non è evidenziato dalla Relazione annuale che, anzi, al momento di analizzare il raffronto dei dati, somma le voci relative a vecchiaia (previdenza), superstiti (previdenza) e invalidità (assistenza), facendo risultare che l’Italia è comunque in linea con le medie europee. Questa media la si raggiunge solo grazie alla maggiore spesa previdenziale rispetto agli altri membri dell’Unione o della cosiddetta Europa dei 27.
COLPA DELLE REGIONI? - Ad un recente question time alla Camera, il Ministro del Welfare, Maurizio Sacconi ha sostenuto che “l’esplosione” della spesa per le invalidità civili è dovuta al “federalismo incompleto”: dal 2001 la competenza sulla concessione e gli accertamenti dei requisiti è passata alle Regioni, ma a pagare è rimasto lo Stato. La valutazione degli stati invalidanti viene effettuata ricorrendo ad un Decreto Ministeriale (e non ad un provvedimento regionale) del 1992 e la composizione delle Commissioni è pure stabilità da norme nazionali. Il controllo sugli atti, sui verbali, sulle certificazioni è comunque rimasto allo Stato, prima attraverso le Commissioni del Ministero del Tesoro, ora attraverso l’INPS. I requisiti reddituali vengono stabiliti dallo Stato e non dalle Regioni. Nelle cause civili, infine, presenzia lo Stato attraverso l’INPS e non le Regioni.
CROLLO DELLE DOMANDE - «Grazie ai controlli e grazie al fatto che ora le domande di accertamento di invalidità si presentano all’INPS, nei primi due mesi del 2010 le domande sono crollate del 58%.» Dal primo gennaio 2010 le domande di accertamento di invalidità ed handicap si presentano, non più all’Azienda Usl di residenza, ma all’INPS. Il “crollo” delle domande è verosimilmente imputabile al diffuso disorientamento dei Cittadini di fronte alle nuove procedure informatiche e telematiche introdotte dall’INPS. In effetti, le nuove procedure sono ancora in via di completamento e miglioramento e l’Istituto continua a rilasciare aggiornamenti e nuove funzionalità del software di gestione. Una modalità operativa che sarà utile anche al Cittadino, ma che comunque avrà bisogno di tempo per entrare a pieno regime.
L’INPS - «Grazie alle innovazioni introdotte dal Governo, le Commissioni mediche sono state integrate dai medici dell’INPS, che oggi può fare le verifiche.» L’INPS effettuava verifiche su tutti i verbali già nel 2005 attraverso le proprie Commissioni. Oggi continua a farlo. La presenza del proprio medico nelle Commissioni Usl consente solo di abbreviare i tempi nei casi di più evidente invalidità. Nell’ipotesi in cui, invece, il parere delle Commissione Usl non sia unanime, il caso viene comunque riesaminato dall’INPS in separata sede.
L’INDENNITÀ DI ACCOMPAGNAMENTO - «Vi è stata negli ultimi anni un’esplosione ingiustificata e inspiegabile nella concessione dell’indennità ci accompagnamento.» L’indennità di accompagnamento viene concessa alle persone (anche con più di 65 anni di età) che, oltre ad essere inabili totali, non sono in gradi deambulare autonomamente oppure non sono in grado di svolgere i normali atti quotidiani della vita. Nella sostanza persone non autosufficienti. Almeno i due terzi dei beneficiari sono anziani ultra settantenni. Nel 2010 l’importo dell’indennità è di 472 euro per 12 mensilità. Viene erogata, diversamente dalle altre provvidenze assistenziali, a prescindere dal reddito. Le variabili che incidono sulla crescita del numero delle indennità concesse sono diverse: l’invecchiamento della popolazione, l’innalzamento dei costi di assistenza, la riduzione di altre misure di protezione sociale, il progressivo impoverimento delle famiglie italiane (secondo ISTAT le famiglie che si trovano in condizioni di povertà relativa sono stimate in 2 milioni 737 mila e rappresentano l’11,3% delle famiglie residenti; nel complesso sono 8 milioni 78 mila gli individui poveri, il 13,6% dell’intera popolazione).
FONDI A FONDO - A questo si aggiunga la restrizione dei Fondi per contrastare il disagio sociale. Prendiamo ad esempio il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali: nel 2008 lo stanziamento è sceso, per la prima volta, sotto i 1.500 milioni di euro (fonte: Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali). Ma la vera sorpresa è per il 2009, 2010 e 2011: il Fondo ha una decisa retrazione (fonte: Legge 203/08, Gazzetta Ufficiale, Supplemento ordinario 285/L, pagina 54). Nel 2009 sono stanziati 1.355 milioni, che diventano 1.070 per il 2010 e solo 960 nel 2011. Nel 2010 ci sono quindi, rispetto al 2007, circa 700 milioni di meno. Prendiamo il più specifico Fondo per le Non Autosufficienze: al Fondoè stata assegnata la somma di 100 milioni di euro per l’anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009. L’articolo 2, comma 465 della Legge 244/07 ha incrementato il Fondo di 100 milioni di euro per l’anno 2008 e di 200 milioni per l’anno 2009. Pertanto: 100 milioni per il 2007, 300 milioni per il 2008, 400 milioni per il 2009. Per il 2010 e gli anni a venire? La voce Fondo per le Non Autosufficienze non compare più nei bilanci di previsione: il Fondo non esiste più. A tutte queste “politiche” nazionali si aggiungono le scelte politiche regionali. È pur vero che alcune Regioni hanno istituito a favore dei non autosufficienti, misure di sostegno anche economico, ma dall’altro lato praticamente in tutte le realtà locali la partecipazione alla spesa per le prestazioni sociali diviene sempre più insostenibile per le famiglie.
IL COSTO DELLA DISABILITÀ - Quanto pesa in termini economici la presenza di una persona con grave disabilità in famiglia? Vanno considerate diverse voci: la spesa per assistenti e badanti, farmaci e prestazioni sanitarie escluse da esenzione, le spese per spostamenti, per adattamenti dell’abitazione, per maggiore riscaldamento o per condizionamento dell’aria. Oltre al sovraccarico assistenziale che grava sui familiari e che finisce per incidere sulla loro capacità di produrre reddito. Molto spesso la disabilità è causa o concausa di indigenza. Si stima che il costo per l’assistenza di un disabile grave non autosufficiente si attesti su una media mensile di 2500 euro a carico della persona o della famiglia. In queste situazioni anche l’indennità di accompagnamento rappresenta un sostegno, tutt’altro che sufficiente a compensare un carico assistenziale che rimane in larga misura sulle spalle del Cittadino e della sua famiglia. Le ipotesi di commisurare la concessione dell’indennità di accompagnamento al reddito (della persona? della famiglia? dei civilmente obbligati?) non è nuova nella storia parlamentare e governativa italiana. Più volte, nei momenti di maggiore “disperazione economica” è stata ventilata (Governi Craxi, Amato, Dini, Berlusconi 1), senza mai essere concretizzata. Saranno verosimilmente prevalse le considerazioni di natura politica e di consenso (un milione e mezzo di invalidi e le loro famiglie, votano). Senza dubbio non sono ancora prevalse logiche di ripensamento complessivo delle politiche per la non autosufficienza.

 




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